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Spaventati e confusi, il tema del lavoro nel dopo lockdown

Cosa accade nel momento in cui un virus porta i governi di tutto il mondo a mettere in quarantena miliardi di persone, generando di fatto il blocco totale della domanda e dell’offerta a livello mondiale? Nasce da questa domanda l’analisi di Future of Italy, il gruppo operativo ideato e composto da Matteo Flora, fondatore di The Fool, Andrea Fontana, co-fondatore e Presidente di Storyfactory, e Oscar Di Montigny, fondatore e Presidente di Be Your Essence.
Covid-19, in questa prima parte del 2020, sancisce la crisi del lavoro e della ricchezza, ma ancora di più può rappresentare la perdita di sé in quella che è una catastrofe economica e sociale. Paurosi, confusi, critici e speranzosi: così sono gli italiani in questo periodo. Emerge una sorta di negazione delle minacce future, da una parte c’è una certa ritrosia in molti pubblici ad accettare le difficoltà della nuova realtà in cui siamo entrati, dall’altra parte emerge una fatica di istituzioni e aziende a raccontare la crisi e a preparare le fasi successive a quello che verrà dopo. Una mancanza di immaginazione e progettualità a cui si dovrà rimediare.
L’analisi data-driven, basata su 1.308.088 conversazioni, ha indagato la percezione degli italiani sul concetto di Italia e italianità, con focus sul tema lavoro e occupazione. Nei riguardi del lavoro i numeri parlano di uno scenario completamente dedicato a un dualismo di emozioni estremamente polarizzate: speranza e paura
Gli Spaventati
Gli spaventati pensano che le misure attuali siano insufficienti e inadeguate e che il Governo e le istituzioni stiano dando dati non corretti o manipolati. Spaventa l’assenza di tamponi e ancora di più spaventano le misure di sostegno costruite più sui debiti che sugli aiuti. Spaventa il futuro: del lavoro, delle aziende, dei lavoratori, della scuola. E si inizia ad avere il timore che gli slogan positivi dell’andrà tutto bene siano solamente momenti di spirito. Il social distancing fa paura anche nel futuro, portando le persone a chiedersi se e quando avranno voglia di viaggiare, di andare al cinema, di essere in un “gruppo” che inizia ad essere meno gruppo, insomma una realtà di mezzo in cui si percepirà la presenza di molte mancanze e abitudini in meno e qualche paura in più.

I Confusi La confusione nel mondo del lavoro emerge per quanto riguarda la tutela delle persone: dalle mascherine (chi le darà? Le dovremo tenere in ufficio? Dove le compreremo?) ai viaggi all’estero (si potranno fare per lavoro? Quando?). Ma è forte anche la confusone e disillusione verso la burocrazia e la burocratizzazione degli aiuti e dei movimenti, a questo si aggiunge anche lo smarrimento rispetto ai razionali dietro ad alcune riaperture e il relativo impatto economico. Ci si chiede quali conseguenze affronteranno i vari settori aziendali e le attività ricreative, e – forse complice il bel tempo – molta confusione ha a che fare con le vacanze e la non comprensione di come, quando e se andremo.
I Critici sono su tre fronti: la disillusione e sfiducia, le discussioni sulle misure economiche e il fronte del turismo. Sul tema della disillusione ci si concentra sulla mancata percezione di una diminuzione dei contagi e su una critica alle metodologie adottate per gestire l’emergenza: entrambe impattano su economia e professioni senza la percezione del beneficio. Altro tema caldo è quello dei finanziamenti alle imprese, che portano con loro critiche sia alle modalità di intervento – a debito per le imprese – sia per le trattative europee in essere, con una forte critica al MES. Il turismo, leva dell’economia italiana, spaventa perché ritenuto incapace di adattarsi in breve tempo e di reggere il contraccolpo.
Gli Speranzosi La visione degli speranzosi è legata principalmente ad una auto-narrazione di convincimento, più che appartenenza, e alla “spinta” dei motti motivazionali di #andràtuttobene e #iorestoacasa. Una tenue speranza accarezza, invece, le misure economiche a supporto dei lavoratori, con una quantificazione di miliardi che – se non proprio convince – dà almeno gli strumenti per una narrazione possibilista. Rimane alto, anche negli speranzosi, il sentimento di vicinanza con il Premier e con il suo operato, raccontato con elogi ed espresso anche con umorismo, riconoscendo una funzione di guida autorevole e talvolta anche “benevola”.

Tra speranza e timore, un ruolo cruciale spetta ai decision maker. È tempo di pensare al mondo del post virus: un pensiero in cui le aziende devono porsi domande, per guardare oltre prefigurando modelli nuovi di impresa. Occorrono sistemi rigenerativi e resilienti, capaci di iniziative tempestive, coraggiose e lungimiranti. Bisogna cominciare a creare le condizioni per produrre valore, accogliendo il cambiamento e prendendo decisioni sostenibili.
Quali nuovi modelli di impresa per crescere, trasformarsi ed evolvere in organizzazioni sostenibili e resilienti? Il pericolo principale è pensare al Coronavirus come a un fenomeno isolato, senza storia, senza contesto sociale, economico o culturale. In effetti, nel mondo nuovo del dopo virus il vero pericolo sarebbe tornare alla vecchia normalità. Perché la normalità si è rivelata con tutti i suoi problemi, fatta – almeno in Italia – di burocrazia, assistenzialismo, attendismo, resistenza all’innovazione o interpretazione riduttiva di quella. Bisogna cominciare a creare le condizioni per produrre valore, e non limitarsi a distribuirlo o riceverlo.

“La storia ha dimostrato che i cambiamenti sociali avvenuti in un periodo di crisi diventano spesso permanenti” dichiara Oscar Di Montigny, fondatore e Presidente di Be Your Essence. “Il Coronavirus sta già avendo un forte impatto sulla nostra società ed economia mondiale, che porterà a forti cambiamenti nel nostro modo di lavorare. Nel frattempo i dati raccontano di aziende che si trovano in una posizione difficile e sotto pressione pubblica. La ‘lezione’ di questa pandemia dovrebbe portare il mondo del lavoro ad entrare in una nuova era in termini di aspettative pubbliche per la responsabilità sociale delle imprese. Le aziende dovrebbero riconsiderare seriamente la loro missione e i loro valori evolvendoli in una vera e propria vocazione, iniziando dal porsi domande come: perché l’azienda esiste? Chi la anima? In che modo la sua operosità può (e deve!) contribuire ad un futuro nuovo?”.

Fonte: Ansa

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