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Luchetti, ritratto di famiglia in un inferno

(ANSA) – ROMA, 02 SET -Le conseguenze dolorose della fine di un amore, la devastazione che lascia quando l’ostinazione di restare insieme, di restare comunque una famiglia, producono tormento, ipocrisia, tossicità, sono i Lacci del film di Daniele Luchetti, tratto dall’omonimo romanzo di Domenico Starnone (Einaudi), che apre questa sera Venezia 77 ed eccezionalmente è proiettato in contemporanea con la Sala Grande del Palazzo del cinema in 100 sale, mentre l’uscita ufficiale è il 1 ottobre con 01. Un film fuori concorso, un’apertura di festival italiana dopo 11 anni, un ritratto di famiglia in un inferno. La storia comincia all’inizio degli anni ’80, Aldo (Luigi Lo Cascio) un conduttore radiofonico alla Rai, con velleità intellettuali, fa il pendolare con Roma mentre a casa a Napoli c’è Vanda (Alba Rohrwacher) insegnante precaria e due figli da crescere Sandro e Anna. Quando Aldo si innamora di una collega, Lidia (Linda Caridi), la moglie lo caccia via pensando di farlo riflettere su quello che sta facendo alla loro famiglia, invece Aldo va via sul serio e da quel momento tutto precipita, tra ricatti, tentativi di suicidio, figli spaventati, udienze. Vanda fa di tutto per riaverlo, scenate comprese. Lui, diviso a metà, torna ma i cocci restano cocci e quando la coppia 30 anni dopo è ancora insieme (Silvio Orlando e Laura Morante) si capisce che il silenzio è diventato il loro linguaggio, che i libri di cui è piena la casa sono dei muri per non entrare in contatto, che i sensi di colpa hanno annientato Aldo, infelice, passivo, inerte, mentre i figli sono cresciuti (Adriano Giannini e Giovanna Mezzogiorno) nella precarietà sentimentale e nel rancore. “Mi sono riconosciuto in tutti i personaggi del film”, dice all’ANSA Luchetti “sbagliano tutti e io come loro”. La famiglia è al centro di Lacci, il nostro archetipo per eccellenza, “quello che ci rappresenta come italiani e ci aiuta a raccontarci. Questa volta – dice il regista di Mio fratello è figlio unico e La nostra vita, e prima ancora La Scuola e Il Portaborse – mi interessava affrontare i legami tra le persone, i danni che fa l’amore quando se ne va da una coppia, una famiglia e cosa accade quando si rimane insieme per masochismo, per lealtà, per sadismo, per abitudine. Una fotografia familiare con i rancori e le consapevolezze che abbiamo oggi e forse non avevamo in quegli anni ’80 con le regole familiari di allora, il conformismo che ci dettava i comportamenti anche privati”. La consapevolezza di cui parla Luchetti è soprattutto rispetto ai figli: “oggi li teniamo fuori il più possibile, allora si facevano cose dolorose, litigate furibonde davanti a loro pensando che non capivano, che tanto stavano giocando nella camera accanto”. Luigi Lo Cascio, per una volta in un ruolo negativo, del suo Aldo “che compie una serie di disastri” dice che è “cinico, egoista, pretende che tutti capiscano il suo desiderio di libertà. Oggi, generalizzando, ci fa effetto perchè a me sembra che i figli siano al centro delle nostre preoccupazioni quando una coppia si disamora, mentre Aldo se ne frega e va via freddamente. Ma forse l’errore più grande è tornare a casa, un dramma della riconciliazione, un legame che diventa fondato sull’ipocrisia e un uomo che si consegna alla vendetta sottile della moglie, un percorso confuso e alla fine ci rimettono tutti”. Nel cast “coraggioso perchè anzichè invecchiare gli attori si dà fiducia all’immaginazione dello spettatore”, cambiando gli interpreti, quanto alla scelta di Luigi Lo Cascio spiega: “mi piaceva il fatto contraddittorio di mostrare un uomo giusto, perchè quello è il suo ‘fisico’ che però fa cose sbagliate”. Tra tanta devastazione una vincente che in realtà è vittima di se stessa: il personaggio di Vanda. A raccontarlo è l’attrice che lo interpreta da ‘anziana’, Laura Morante, mentre Alba Rohrwacher è assente al Lido. “La sua più o meno consapevole strategia per recuperare il marito si rivela una sconfitta tragica, una vittoria apparente perché nella sua famiglia c’è solo dolore e lei ha finito con il dissipare anche se stessa. La cosa più difficile – dice all’ANSA la Morante – è accettare i cambiamenti della vita, accoglierli, molto spesso siamo incapaci di farlo, siamo scioccamente persuasi che la durata di una storia sia un segno positivo, ma anche l’inferno è eterno, non è detto che una cosa che duri per il fatto di durare sia meravigliosa. Gli affetti quando sono profondi sono immortali ma a condizione di accettare che cambino forma altrimenti la linfa si esaurisce e resta solo un simulacro doloroso per tutti.”   

Fonte: Ansa

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