La vita con il virus e i tre mesi che hanno cambiato il mondo
All’improvviso, il virus. Sono passati tre mesi da quando, il 20 gennaio, il presidente cinese Xi Jinping decise di lanciare pubblicamente l’allarme su una possibile epidemia. Tre mesi dopo, il pianeta conta oltre 160 mila vittime, quasi 2 milioni e mezzo di contagiati e più della metà della popolazione mondiale costretta o invitata a rimanere a casa. Un cambiamento radicale quanto repentino, in un mondo che si è scoperto impreparato sotto ogni punto di vista: sanitario principalmente, ma anche politico, economico, umano. In quei giorni la città di Wuhan – dove in un mercato il nuovo virus aveva compiuto il salto di specie dall’animale all’uomo – contava già centinaia di casi e almeno tre morti, e i media di Pechino parlavano di una “misteriosa polmonite”. Ma sebbene alla leadership cinese il rischio per la popolazione fosse già chiaro almeno dal 14 gennaio – come dimostrato da una recente inchiesta dell’AP – a Wuhan la vita continuò come nulla fosse per altri sei lunghi giorni prima che Xi decidesse di dare l’allerta, e altri tre per chiudere e isolare l’intera città dell’Hubei con i suoi 11 milioni di abitanti. A guardarlo con gli occhi di allora, il lockdown di Wuhan sembrò agli occidentali una risposta antidemocratica, possibile solo in un regime autoritario. Appena tre mesi dopo, le città europee e americane le assomigliano molto: strade deserte e saracinesche abbassate, e i volti, le angosce, le speranze, chiusi tra le mura domestiche o nascosti dietro le mascherine. Da allora ogni nuovo stop, blocco, lockdown è stato uno stupore nuovo e doloroso: in un mondo frenetico e globalizzato, si sono prima fermati i voli, chiuse le frontiere, cancellati i principali eventi internazionali. Un mese dopo l’allarme di Xi, il 21 febbraio, il nuovo coronavirus – al quale nel frattempo la scienza ha dato il nome di Sars-Cov-2 – ha comunque raggiunto l’Italia, l’Europa e il resto del mondo. Si sono chiuse le scuole, poi via via i negozi, i bar, i ristoranti, gli uffici, le fabbriche. Si è fermato il calcio, le Olimpiadi di Tokyo rinviate di un anno, si sono chiusi spiagge e musei, si sono spenti i cinema e la musica, papa Francesco ha pregato da solo in una San Pietro deserta in un’immagine simbolo del mondo sconvolto dalla pandemia. In molti l’hanno paragonata a una guerra contro un nemico invisibile. Lo è senz’altro per i medici e gli infermieri in prima linea sul fronte delle terapie intensive, lo è per chi stenta a fare la spesa, a pagare bollette e dipendenti, per chi deve combattere altre malattie nell’incertezza e nella paura. Ma, guerra o no, la vita è cambiata per tutti: per molti lavoro, scuola, cultura, affetti viaggiano sulla rete, nelle chat, per telefono, persino sui balconi. Per altri i solchi delle disuguaglianze sono diventati ancora più profondi. A fare un bilancio di questi tre mesi, quella che non sembra essere cambiata è la politica che, presa alla sprovvista in Italia come altrove, dopo un iniziale spirito di collaborazione ha ricominciato a dividersi e ad attaccarsi. L’Europa stenta a dimostrarsi unita, gli Usa di Donald Trump in piena campagna elettorale accusano la Cina di aver taciuto sul virus, se non di averlo creato. Come non sono cambiate le crisi ormai sparite dalle prime pagine, ma non dal terreno, in Siria, Libia, Yemen. A cambiare, in meglio, è stata invece la salute del Pianeta: senza auto, aerei e produzioni industriali sono calati, per ora, i livelli di Co2. La fine dell’emergenza da pandemia, decretata dall’Oms l’11 marzo, è ancora lontana, ogni giorno si continuano a piangere migliaia di vittime in tutto il mondo e si contano decine di migliaia di nuovi contagi. Con il Pil mondiale che subirà una drammatica battuta d’arresto e l’incertezza nel futuro, la speranza oggi si aggrappa alla scienza, alla scoperta di una terapia e alla ricerca di un vaccino contro un virus appena conosciuto. Restano intatti il dolore, la paura, la diffidenza, ma comincia anche ad insinuarsi l’impazienza di tornare alla normalità. Una nuova normalità, in un mondo cambiato.