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La vita in rosa, primavera con il colore nel segno dell’ottimismo

Mai come in questa primavera del 2020 funestata dal coronavirus, il colore rosa si è riappropriato del suo potenziale di cromia legata all’arrivo della bella stagione, alla positività, all’ottimismo. I colori influenzano le nostre vite e le nostre emozioni, come evidenzia la cromoterapia.
    Un discorso che si può applicare senz’altro anche alla moda. Se poi si guarda alla tavolozza dei colori, questi hanno assunto nel tempo dei precisi significati, spesso di natura sociale, non esenti da risvolti psicologici. Così, da sempre il nero è il colore del lutto. Il bianco è simbolo di purezza, ecco perché gli abiti delle spose sono bianchi. Il rosso rappresenta il potere (vedi il porpora dei cardinali) ma anche il peccato.    L’oro è il colore della ricchezza e dell’eternità. Nel 2020 è la moda a riportare l’attenzione sul colore rosa, rendendolo il protagonista dalle passerelle internazionali di pret a porter e di haute couture, come invito alla positività e all’ottimismo. Rosa dunque in mille sfumature diverse, dal sensuale color carne di Prada, al delicato peonia di Valentino, dal rosa floreale di Giambattista Valli, fino agli stampati esotici di Jhoanna Ortiz per H&M. 

    Alcuni periodi storici sono addirittura associati a una precisa palette cromatica: agli anni Venti detti anche Anni Ruggenti corrispondono colori metallici; negli anni Cinquanta dominavano i toni pastello; negli anni Settanta le tinte calde e spirituali, come l’arancio e il ruggine. Arrivando ai giorni nostri i Millennials hanno scelto come colore rappresentativo il fucsia, mentre il verde fluo sta diventando il colore della nuova Generazione G.
    Il rosa ha invece attraversato nella storia della moda e del costume, periodi di gloria e momenti di oblio. La prerogativa di aver rappresentato fino ad oggi il genere femminile è cominciata nel 1927, quando il Time pubblicò un grafico che mostrava i dati di alcuni venditori di capi negli Stati Uniti, indicando che il rosa era il più comprato per le bambine e l’azzurro/blu per i bambini. Il dato divenne una legge di marketing da seguire per ottimizzare la produzione e quindi le vendite. Ma nel passato questa distinzione non c’era. Addirittura la regina Maria Antonietta lo impose come tinta per le uniformi di Fontainebleau. Ma nell’800 il rosa venne messo da parte dagli uomini d’affari che abbandonarono le tinte chiare per indossare vestiti scuri, nei colori grigio e nero. Così, il rosa finì per essere il colore di un genere, legato al solo guardaroba femminile. L’apice arrivò con il film del 1957 Funny Face, dove un personaggio ispirato a Diana Vreeland dedicò al rosa un interno numero della sua rivista.
    La gioventù degli anni Settanta di entrambe i sessi non amava il colore rosa, mentre oggi è diventato il simbolo del femminismo di terza generazione, che combatte per la parità di diritti e di genere, al fianco degli uomini e del movimento Lgbt. Quindi, possiamo affermare che il rosa oggi è una cromia genderless.

Fonte: Ansa

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