Madri allo specchio per Naomi Kawase in True Mothers
C’è il romanzo omonimo, uscito nel 2015, della scrittrice Mizuki Tsujimura, alla base di True Mothers, il nuovo viaggio della grande regista giapponese Naomi Kawase nella maternità. Il film, incluso fra i titoli ‘col bollino’ di Cannes (la lista delle opere che avrebbero debuttato sulla Croisette, se il festival non fosse stato annullato per il Covid), dopo la prima mondiale al Toronto Film Festival arriva nella selezione ufficiale della Festa del cinema di Roma.
Mescolando diversi piani temporali, sfumati da una fotografia immersa nella luce, True Mothers porta il pubblico nella vita di Satoko (Hiromi Nagasaku), donna borghese, discreta quanto decisa, che con il marito Kiyokazu (Arata Iura) non riesce a realizzare il sogno di avere un figlio, neanche dopo vari trattamenti medici. Quando Satoko e Kiyokazu sembrano ormai rassegnati e in crisi, arriva una nuova speranza da un servizio televisivo su un’agenzia di adozioni, la Baton Baby, che nella visione della direttrice (Miyoko Asada) offre a ragazze rimaste incinte troppo giovani l’opportunità di lasciare i figli a chi possa garantire loro un futuro migliore. La coppia adotta il piccolo Asato, figlio della 14enne Hikari (Aju Makita), ancora ingenua rispetto alla vita e messa incinta dal primo amore, poco più grande di lei: una vergogna che la famiglia non le perdona. Sei anni dopo Hikari, che non ha mai superato il trauma di quel figlio toltole senza darle realmente la possibilità di capire cosa stesse succedendo, in un presente sempre più instabile, precario e con varie ombre (non manca un tocco di noir, ndr), è sempre più intenzionata a tornare nella vita del bambino. Satoko intanto deve cercare il giusto equilibrio tra una vita solo apparentemente perfetta e quel figlio intelligente e silenzioso, che inizia a darle qualche preoccupazione.
La regista torna così ad affrontare uno dei temi alla base del suo cinema (esplorato con documentari e film) e legato alla sua vita, essendo stata abbandonata dai genitori naturali e poi adottata e cresciuta dai prozii. “Parlo di un sistema che esiste in Giappone chiamato adozione speciale (che garantisce, nel rispetto di particolari condizioni, più restrittive, il trasferimento integrale di diritti e doveri genitoriali dai genitori biologici a quelli adottivi, ndr)” ha spiegato la regista. Il film racconta come i tre personaggi principali, le due madri e il bambino che le unisce, “si vedano a vicenda”. In questo momento “in cui il mondo si confronta con il coronavirus e fra le persone esistono molte restrizioni sarei molto felice se dal film arrivasse il messaggio ‘non c’è notte senza alba’ – aggiunge -. Abbiamo tutti la capacità di accettare le nostre differenze e di trovare un’unione. Allo stesso modo, però, siamo ugualmente capaci di lottare tra noi e di non accettarci. Ma se proseguiamo così, come faranno gli esseri umani ad andare avanti in futuro? E’ una domanda che spero il film vi ponga”.
Fonte: Ansa