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Pierfrancesco Favino: “come attore è un privilegio entrare nelle vite degli altri”

Uno degli attori più popolari e premiati (candidato tra l’altro come miglior protagonista per Il traditore di Marco Bellocchio ai David di Donatello dell’8 maggio), Pierfrancesco Favino racconta i suoi esordi e le sue aspirazioni lasciandosi andare ai ricordi, in questo periodo di lockdown, per le ‘pillole’ sulle professioni del cinema nel progetto curato da Laura Delli Colli e Mario Sesti della Fondazione Cinema per Roma “Backstage: il cinema e i suoi mestieri”.
    Favino, 50 anni, ricorda di dover tutto “all’insegnante di inglese che amava il cinema, ci portava a vedere i film e riusciva ad organizzare anche incontri con i registi. Ricordo ancora la prima volta in cui vidi Gianni Amelio, era in occasione della proiezione del suo I Ragazzi di Via Panisperna, al cinema Ariston che adesso non c’è più”. Favino, che frequentava il teatro grazie a genitori appassionati, si è avvicinato al cinema così: “dopo Amelio la Archibugi all’Azzurro Scipioni, poi Scola. Mi prese il fascino dell’attore, un modo attraverso cui dire chi ero. Così pensai di andare all’Accademia d’arte drammatica, dove fui ammesso. E’ così che è cominciata la mia meravigliosa vita”, racconta.
    Favino ha avuto Luca Ronconi e Orazio Costa tra i maestri “e quella valigia di domande mi accompagna ancora oggi, la scuola, la preparazione sono fondamentali perché questo è un mestiere, anche se non sempre viene riconosciuto come tale, e ha le sue specificità, non possono farlo tutti. Quei tre anni di formazione sono stati decisivi, lo penso ancora oggi che le domande sono dentro di me anche aumentate perché non c’è fine a questo mestiere e all’aspirazione a migliorare sempre”.
    Quello che Pierfrancesco Favino ama del suo lavoro è “entrare nelle vite di persone che non incontrerei mai, lambire vite così diverse dalle mie, vite che non vivrei ma che nel momento in cui le interpreto cerco di capire, anche se sono personaggi negativi, cercando tra le pieghe nascoste dell’animo umano come sono, cosa le spinge, cercare di salvarle, di lottare per loro.
    Questo è il mio motore, questo è ciò che mi affascina del mio mestiere. Poi certo non sono mai soddisfatto, ho sempre il desiderio di rifare per migliorare, un’ambizione che mi porto dietro come insegnamento dei miei maestri”.
    Con il tempo, la carriera, “quello che un po’ mi comincia a pesare è stare lontano dalla famiglia, ma come in tutti i mestieri non tutto può tornare e io penso di vivere un enorme privilegio nel farlo”. (ANSA).
   

Fonte: Ansa

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